Premessa
Capitolo primo – La normativa generale sull’orario di lavoro
Le convenzioni O.I.L. sull’orario di lavoro
La Direttiva Comunità Europea 4 novembre 2003, n. 88/2003
Il trattamento negli Stati Uniti D’America, la normativa federale “Fair Labor
Standards Act”
Capitolo secondo – Legislazioni statali
Italia – Decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66
Usa
California
Texas
New York
Florida
Illinois
Pennsylvania
Ohio
Michigan
Georgia
Carolina del Nord
Cina
Giappone
Germania
Francia
Regno Unito
Brasile
Sintesi e raffronto
Capitolo terzo – La gestione del tempo dei lavoratori nell’azienda
La rilevazione delle presenze
La gestione del lavoro straordinario
I turni di lavoro
Pianificazione delle chiusure annuali aziendali
Approvazione Calendario ferie individuale
L’assenteismo
Capitolo quarto – Analisi del software e schema del database
Ambiente di sviluppo e strumenti utilizzati
Schema database
Analisi requisiti
Flusso operativo e videate applicazione
Capitolo quinto – Case history
l’uso del programma in uno studio professionale in Italia, inserimento dei dati e gestione
l’uso del programma in un’azienda Californiana, inserimento dei dati e gestione
Allegati
Bibliografia
Premessa
L'orario di lavoro rappresenta una tematica centrale nell'ambito del rapporto di lavoro, per i riflessi economici e retributivi, in particolare nella dicotomia “tempo di lavoro e tempo di non lavoro”, da intendersi quale tempo retribuito e tempo non retribuito. Il lavoro viene ad identificarsi con il tempo che una persona dedica all’esecuzione della prestazione lavorativa, la cui quantificazione avviene attraverso la misurazione basata sulla nozione giuridica di orario di lavoro. L’orario di lavoro è così divenuto – in via convenzionale - strumento e metro di misurazione attraverso cui calcolare e oggettivare il fattore lavoro, se non altro ai fini del calcolo della corrispettività retributiva e dell’individuazione di limiti per la tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori.
L’oggetto principale della tesi è la schematizzazione della normativa nelle principali economie mondiali che regolamenta l’orario di lavoro subordinato e la creazione di uno strumento software per la misurazione del tempo di lavoro, coerentemente con la normativa del paese, dal nome “Time Management for Human Resource”, in breve TM4HR.
Il presente lavoro percorre dunque varie tappe che caratterizzano le varie economie nella regolazione dei tempi di lavoro, schematizzando poi i seguenti elementi:
limiti all’orario di lavoro giornaliero, settimanale, annuale;
assenze dal lavoro comunque retribuite per malattia, infortunio, maternità, ferie;
particolarità e maggiorazioni del tempo lavorato, per lavoro straordinario e festivo.
Lo schema sarà utilizzato nel software TM4HR per la creazione di messaggi di avviso nel caso di superamento dei limiti indicati al punto 1 e per la creazione di causali di giustificazione utili sia per le assenze di cui al punto 2 che per le particolarità del lavoro di cui la punto 3.
CAPITOLO PRIMO
LA NORMATIVA GENERALE SULL'ORARIO DI LAVORO
Le convenzioni OIL sull'orario di lavoro
Come è ampiamente noto, l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) rappresenta l’agenzia delle Nazioni Unite il cui mandato precipuo è quello di promuovere universalmente il lavoro dignitoso e produttivo in condizioni di libertà, uguaglianza, sicurezza e dignità umana, senza distinzione alcuna tra uomini e donne.
L ’ILO rappresenta una delle agenzie internazionali più antiche ancora oggi pienamente in attività.
Sorta nel 1919 a norma degli accordi contenuti nel trattato di Versailles, che regolava i rapporti internazionali all'indomani della Prima Guerra mondiale, essa operò sostanzialmente in seno alla allora istituita Società delle Nazioni, rappresentando uno storico tentativo di concretizzare il principio della coappartenenza tra una pace duratura globale e la giustizia sociale.
Vale la pena di rileggere il passaggio centrale del solenne preambolo della carta costitutiva dell'organizzazione, risalente al 1919, nel quale sono affermati gli orientamenti che avrebbero indirizzato l'attività dell'agenzia nel corso dei decenni successivi: “Considerando che vi sono condizioni di lavoro che implicano per un gran numero di persone ingiustizia, miseria e privazioni, generando tale malcontento da mettere in pericolo la pace e l’armonia del mondo, e che urge prendere provvedimenti per migliorare simili condizioni: come, per esempio, il regolamento delle ore di lavoro, la fissazione della durata massima della giornata e della settimana di lavoro, il reclutamento della mano d’opera, la lotta contro la disoccupazione, la garanzia di un salario sufficiente ad assicurare convenienti condizioni di vita, la protezione dei lavoratori contro le malattie generali o professionali e contro gli infortuni del lavoro, la protezione dei fanciulli, degli adolescenti e delle donne, le pensioni di vecchiaia e d’invalidità, la difesa degli interessi dei lavoratori occupati all’estero, il riconoscimento del principio «a lavoro eguale, retribuzione eguale», il riconoscimento del principio della libertà sindacale, l’organizzazione dell’insegnamento professionale e tecnico, e altri provvedimenti analoghi; Considerando che la mancata adozione, da parte di uno Stato qualsiasi, di un regime di lavoro veramente umano ostacola gli sforzi degli altri, che desiderano migliorare la sorte dei lavoratori nei propri paesi; Le Alte Parti Contraenti, mosse da sentimenti di giustizia e di umanità, e dal desiderio di assicurare una pace mondiale durevole, nell’intento di raggiungere i fini enunciati nel preambolo, approvano la presente Costituzione dell’Organizzazione internazionale del Lavoro”.
Operativamente, lo scopo dell'Organizzazione consisteva e in larga parte consiste nel diffondere a livello globale condizioni di lavoro ispirate ai principi di umanità e giustizia sociale, combattendo il diffondersi della povertà e della disuguaglianza.
Fu nel 1944, che, nel mezzo della crisi delle relazioni internazionali coincidente con la seconda guerra mondiale, l’ILO avvertì l'esigenza di riaffermare in modo solenne i principi che ne avevano ispirato la fondazione e l'attività fino a quel momento, promulgando la cosiddetta “Dichiarazione di Filadelfia”, con la quale veniva affermato come il lavoro non potesse essere trattato alla stregua di una merce e che la povertà rappresentasse in quanto tale una minaccia per l'ordine e per la pace a livello internazionale.
Nell'importante articolo III di quello storico testo, l'Organizzazione ribadiva, in un contesto internazionale drammatico, gli obiettivi che ne avrebbero continuato a ispirare l'attività: “La Conferenza riconosce il solenne impegno da parte dell’Organizzazione internazionale del Lavoro di assecondare la messa in opera, nei vari paesi del mondo, di programmi atti a realizzare : (a) la garanzia d’impiego e di lavoro, nonché l’elevazione del tenore di vita ; (b) l’impiego dei lavoratori in occupazioni in cui essi abbiano la soddisfazione di mostrare tutta la loro abilità e conoscenza e di contribuire per il meglio al benessere comune ; (c) la messa in opera, per raggiungere questo scopo, con garanzie adeguate per tutti gli interessati, di possibilità di formazione professionale e di mezzi propri a favorire il trasferimento di lavoratori, ivi comprese le migrazioni di mano d’opera e di coloni ; (d) a possibilità per tutti di partecipare equamente ai benefici del progresso in materia di salari e rimunerazioni, e di avere un minimo di salario che permetta di vivere a tutti i lavoratori ; (e) il riconoscimento effettivo del diritto di condurre negoziati collettivi e la cooperazione dei datori di lavoro e dei lavoratori, per il miglioramento continuo dell’efficienza produttiva e per l’elaborazione e l’applicazione della politica sociale ed economica ; (f) l’estensione delle misure di sicurezza sociale per assicurare un provento base a tutti i lavoratori e le cure mediche agli ammalati”.
Dopo la guerra, l’ILO fu la prima agenzia internazionale che venne “trasfusa” all'interno dell'ONU appena costituito.
Va infine ricordato come a distanza di 50 anni della sua fondazione, essa è stata inoltre insignita del Premio Nobel per la Pace, a riconoscimento del suo decennale impegno a favore della giustizia sociale.
Il maggior numero di cambiamenti organizzativi e operativi nella agenzia si registrarono dopo la fine della guerra, quando una gran quantità di paesi chiesero di essere ammessi a far parte dell'ILO.
Da allora vennero prodotti una quantità di programmi tecnici per intavolare proficue collaborazioni con i governi nazionali, con le imprese e con le organizzazioni dei lavoratori e sindacali a livello internazionale, con un particolare riguardo per i cosiddetti paesi in via di sviluppo.
Gli obiettivi principali dell'agenzia sin dalla sua fondazione, ribaditi in numerosi documenti nel corso della sua quasi centenaria attività, sono:
la promozione a tutti i livelli dei diritti dei lavoratori;
il sostegno all'occupazione in condizioni di dignità e di rispetto dei diritti umani;
il miglioramento della protezione sociale dei sociali;
la promozione dei dibattiti e degli studi sulle problematiche proprie del mondo del lavoro.
Ad oggi, l’ILO rappresenta l’unica agenzia delle Nazioni Unite dotata di una speciale struttura tripartita, nella quale le politiche dell'Organizzazione vengono orchestrate congiuntamente da parte dei rappresentanti dei governi, da quelli del mondo dell'imprenditoria e da quelli delle associazioni dei lavoratori. A livello della produzione normativa, l'ILO nel corso della sua storia ha varato un gran numero di testi di riferimento per il diritto internazionale del lavoro, ed essa si è contestualmente impegnata, con la forza politica che le deriva dal gran numero di stati membri (ad oggi 186) e dalla storia del suo impegno internazionale, di assicurare il rispetto delle norme del lavoro a livello sia della legislazione degli stati nazionali che nella prassi degli operatori economici e sociali.
Tra le più importanti fonti normative in materia di protezione dei diritti del lavoro che si debbono all'attività dell'OIL, devono essere ricordate:
-Convenzione OIL per l’industria, 1/1919, che ha previsto l'adozione, pur con un ampio numero di eccezioni, della giornata di otto ore o della settimana di quarantotto ore.
Con essa veniva sancito lo storico principio per il quale: “In tutte le aziende industriali, pubbliche o private, ovvero nelle loro dipendenze di qualsiasi natura, ad eccezione di quelle nelle quali siano impiegati esclusivamente i membri di una stessa famiglia, la durata del lavoro del personale non potrà eccedere otto ore per giorno e quarantotto ore per settimana, salvo le eccezioni previste qui appresso (...)”.
-Convenzione OIL per l’industria, 14/1921, con la quale è stato introdotto l'obbligo di un giorno di riposo ogni sette, della durata minima di 24 ore;
-Convenzione OIL per il commercio e gli uffici, 30/1930, che ha rinnovato i principi sull'adozione della giornata di otto ore o della settimana di quarantotto ore, restringendo il numero delle eccezioni previste;
-Convenzione OIL per le 40 ore, 47/1935 , relativa alle ore di lavoro settimanali;
-Convenzione OIL sul lavoro notturno per i lavoratori dell’industria, 89/1948;
-Convenzione OIL sul lavoro delle donne, 103/1952, con la quale veniva sancito il principio delle 12 settimane di riposo per il periodo della maternità e di almeno 6 settimane per la fase post-parto;
-Convenzione OIL per il commercio e gli uffici, 106/1957, con la quale veniva previsto il giorno di riposo settimanale di almeno 24 ore.
La Direttiva Comunità Europea 4 novembre 2003, nn.88/20003
Alla normativa internazionale originante dalle Nazioni Unite fa riscontro l'attività legislativa degli organi della Comunità Europea, che si espressa negli ultimi decenni con una produzione di grande importanza in questa materia.
L'Unione Europea ha da sempre considerato trai suoi obiettivi fondativi la promozione di una organizzazione del lavoro improntata ai valori della giustizia sociale e dell'uguaglianza dei lavoratori.
Essa ha nel tempo prodotto una serie di direttive che hanno inciso sul quadro normativo dei paesi membri in misura rilevante, in modo tanto più importante in ragione delle profonde trasformazioni avvenute sul mercato del lavoro nel corso degli ultimi decenni, riflesso di trasformazioni profonde non solo nell’organizzazione del lavoro ma nell'intera società.
L'Europa ha più volte sancito il principio della necessità di una organizzazione del lavoro moderna e flessibile e insieme di un orario di lavoro rispettoso delle esigenze dei lavoratori, in grado di garantire in modo pieno la loro vita familiare mediante una retribuzione adeguata e dignitosa.
Le sfide epocali della crisi economica, dell’invecchiamento della popolazione e dell'inasprimento della concorrenza globale hanno indotto l'UE a perseguire con forza gli obiettivi del raggiungimento di maggiori e migliori posti di lavoro, e di uguaglianza dei lavoratori.
L’orario di lavoro in particolare, rappresenta un diritto fondamentale protetto da un gran numero di norme europee e di carattere universale.
Come è noto, l’Unione europea protegge e tutela i diritti fondamentali dell'uomo a tenore della sua Carta dei diritti fondamentali e delle norme vincolanti contenute nei Trattati.
Come è altrettanto noto, la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea ha assunto anche essa carattere vincolante dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona.
Essa, all' articolo 31, affronta la materia delle “condizioni di lavoro giuste ed eque” , sancendo il principio secondo il quale “ogni lavoratore ha diritto a condizioni di lavoro sane, sicure e dignitose”, e oltre a ciò, che “ogni lavoratore ha diritto a una limitazione della durata massima del lavoro e a periodi di riposo giornalieri e settimanali e a ferie annuali retribuite”.
Il Trattato di Lisbona esplicita inoltre nell'articolo 151, che l’Unione europea si prefigge come obiettivo “la promozione dell’occupazione, il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, che consenta la loro parificazione nel progresso” .
L'Unione tutela in sostanza attraverso i diversi strumenti normativi di cui essa è andata dotandosi, gli standard internazionali relativi alla regolamentazione dell’orario di lavoro, a tenore principalmente delle già menzionate norme emanate a livello universale da parte dell’OIL, e in particolare della sua carta costitutiva del 1919.
L'UE ha dunque pienamente recepito nel suo diritto gli standard ILO, con riferimento in particolare alle ore di lavoro, alla massima durata della giornata e della settimana lavorativa” , e gli altri limiti, - si tratta di ben 39 standard ILO- relativi all' orario di lavoro.
Come detto, nel corso degli ultimi decenni sono state infatti diverse le direttive emanate in questa materia cruciale da parte degli organi delle Comunità, poi Unione Europea.
Innanzitutto, la direttiva 93/104/CE, che fu originariamente adottata nel 1993, sarebbe in seguito (nel 2000) stata modificata dalla direttiva 2000/34/CE.
Entrambe avrebbero ricevuto un importante rafforzamento dall'ultima e più importante direttiva emanata in questa materia, la direttiva 2003/88/CE1 .
Come si legge nel preambolo di quest'ultima Direttiva “il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro rappresenta un obiettivo che non può dipendere da considerazioni di carattere puramente economico” .
La direttiva in parola introduce alcune importanti novità rispetto alle precedenti, imponendo le seguenti norme:
All'articolo 3 essa impone che: “Gli Stati membri prendono le misure necessarie affinché ogni lavoratore benefici, nel corso di ogni periodo di 24 ore, di un periodo minimo di riposo di 11 ore consecutive.”
All'art. 5 si aggiunge che : “Gli Stati membri prendono le misure necessarie affinché ogni lavoratore benefici, per ogni periodo di 7 giorni, di un periodo minimo di riposo ininterrotto di 24 ore a cui si sommano le 11 ore di riposo giornaliero previste all'articolo 3.”
Una possibile eccezione al dettato dell'articolo 5 è dettata dall'art. 16, per il quale “gli Stati membri possono prevedere per l'applicazione dell'articolo 5 (riposo settimanale), un periodo di riferimento non superiore a 14 giorni”.
All'articolo 6 si sancisce inoltre che : “(…) in funzione degli imperativi di protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori: la durata media dell'orario di lavoro per ogni periodo di 7 giorni non deve superare le 48 ore, comprese le ore di lavoro straordinario.”
Da ultimo, in riferimento al lavoro notturno, va richiamato il dettato dell'articolo 8 con il quale viene stabilito che: “Gli Stati membri prendono le misure necessarie affinché (…) i lavoratori notturni il cui lavoro comporta rischi particolari o rilevanti tensioni fisiche o mentali non lavorino più di 8 ore nel corso di un periodo di 24 ore ”.
In sostanza, la direttiva europea riafferma alcuni principi cardine della storia del diritto internazionale del lavoro.
Tra questi devono essere ricordati:
-il tetto massimo di lavoro medio settimanale pari a 48 ore, straordinari compresi;
-la retribuzione di almeno 4 settimane l'anno di ferie;
-la previsione di una pausa giornaliera se la giornata lavorativa supera la 6 ore;
-un periodo di riposo di almeno 11 ore consecutive ogni 24 ore lavorative;
-un tetto al lavoro notturno pari ad 8 ore in un periodo di 24.
Il trattamento negli Stati Uniti d'America, la normativa federale “Fair Labor Standards act”.
Se dall'Europa indirizziamo la nostra analisi al contesto normativo statunitense, viene in primo luogo in considerazione, in materia di orario minimo di lavoro, lo storico Fair Labor Standards Act del 1938, anche noto come FLSA o Wages and Hours Bill.
Si tratta di un insieme di norme federali ai quali si deve originariamente l'introduzione negli Stati Uniti della 40 ore settimanali, di un salario minimo nazionale, garantì il principio del “time-and-a-half” per gli straordinari in un certo tipo di impieghi, e proibì in massima parte l'allora ancora assai diffuso lavoro minorile, con riferimento ai cosiddetti “oppressive child labor”, secondo l'interpretazione meglio definitiva all'interno del testo.
Le premesse di carattere politico che hanno ispirato la promulgazione di questo importante insieme di norme si rinvengono elencate nell'importante “declaration of policy” premessa al testo, nella quale si legge: “The Congress finds that the existence, in industries engaged in commerce or in the production of goods for commerce, of labor conditions detrimental to the maintenance of the minimum standard of living necessary for health, efficiency, and general well-being of workers (1) causes commerce and the channels and instrumentalities of commerce to be used to spread and perpetuate such labor conditions among the workers of the several States; (2) burdens commerce and the free flow of goods in commerce; (3) constitutes an unfair method of competition in commerce; (4) leads to labor disputes burdening and obstructing commerce and the free flow of goods in commerce; and (5) interferes with the orderly and fair marketing of goods in commerce. That Congress further finds that the employment of persons in domestic service in households affects commerce”.
Il FLSA trova applicazione con riguardo ai lavoratori impiegati nell'ambito del commercio al livello interstatuale o a quelli impiegati da una qualsiasi società operante nel settore del commercio o nella produzione di merci destinate al commercio, a meno che il datore di lavoro non potesse dimostrare di avere diritto a specifiche esenzioni dalle previsioni della legge (“employees who are engaged in interstate commerce or in the production of goods for commerce, or who are employed by an enterprise engaged in commerce or in the production of goods for commerce”).
Si ritiene generalmente che un datore di lavro con un fatturato di almeno $500,000 o comunque con un grande volume di vendite nel corso di un anno integrasse le previsioni del FLSA, e che dunque in questi casi i suoi lavoratori fossero soggetti alla disciplina protettiva del Fair Labor Standards Act, a meno, come detto, di specifiche esenzioni.
Le esenzioni dall'applicazione della disciplina relativa sono per altro molteplici, ed esse incidono sull'ammontare del salario minimo, sugli straordinari e sugli obblighi di registrazione.
La più significativa delle esenzioni riguada i cosiddetti “white collar”, i colletti bianchi rappresentati dal gruppo dei professionisti e dei lavoratori amminstrativi.
Le esenzioni sono generalmente interpretate in modo restrittivo, e un datore di lavoro è oin tali casi tenuto generalmente a dimostrare in modo “chiaro e inequivocabile” (“plainly and unmistakably”) che i suoi lavoratori rientrino nei termini legali previsti per le eccezioni.
Il Fair Labor Standards Act trova evidentemente piena applicazione in riferimento a chiunque riceva lavoro da un datore di lavoro, ma non ha efficacia riguardo gli i “contraenti indipendenti” o i volontari, che non sono ovviamente considerati come lavoratori a pieno titolo e dunque non sono soggetti ai termini del FLSA.
Peraltro, va rilevato che un datore di lavoro non ha la facoltà di esimere un lavoratore dalla copertura del FLSA semplicemente dichiarandolo “contraente indipendente” (“indipendent contractor”) , anche se sono evidentemente numerosi i casi nei quali i datori di lavoro hanno illegalmente classificato in questa veste i loro dipendenti, incorrendo generalmente nelle relative sanzioni da parte degli organi di controllo.
Allo stesso modo, ci sono datori di lavoro che designano abusivamente i loro lavoratori come “volontari”, e i tribunali si trovano generalmente nella necessità di individuare di volta in volta la reale consistenza economica del rapporto venutosi a determinare tra il presunto datore di lavoro e il lavoratore per determinare la effettiva qualità giuridica della loro relazione.
I tribunali statunitensi ricorrono a valutazioni analoghe, “sul campo”, anche per accertare se un lavoratore sia contemporaneamente impiegato da più di una persona o impresa, nei cosiddetti casi di “joint employers”.
Per esempio, il lavoratore di una fattoria può essere considerato “jointly employed” in quanto assunto da un “reclutatore”, che contratta la sua assunzione (e che si occupa del reclutamento, del trasporto, del pagamento, della registrazione delle ore di lavoro) e contemporaneamente dal coltivatore (cui spetta in genere di monitorare la qualità del lavoro eseguito, determinare la collocazione spaziale dei lavoratori all'interno dell'azienda, controllarne il volume di lavoro, controllarne la qualità, commina sanzioni disciplinari, ecc.).
In molti casi controversi, i datori di lavoro risultano non aver pagato adeguatamente gli straordinari per i lavori che non rientrano nelle previsioni di eccezione, ad esempio non pagando il lavoratore per il tempo degli spostamento tra posti di lavoro diversi, per le attività precedenti o successivi agli spostamenti medesimi, ecc.
Se una prestazione lavorativa è considerata come “straordinario”, il datore di lavoro è ovviamente tenuto a pagarla una volta e mezzo il salario regolare per tutte quelle ore che eccedono le 40 settimanali.
CAPITOLO SECONDO
LEGISLAZIONI STATALI IN MATERIA DI ORARIO DI LAVORO
2.1.Italia. Decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66 .
Nel nostro paese la materia dell'orario di lavoro è sostanzialmente regolata da ultimo dal D.Lgs. 8 aprile 2003 n. 66, recante Disciplina di attuazione delle direttive 93/104/Ce e 2000/34/Ce.
Le normativa, riprendendo l'assetto della disciplina stabilita in ambito comunitario, contiene la definizione “binaria” delle nozioni di “orario di lavoro” e “riposo lavorativo”.
All' art. 1 co 2 lett. A, il testo sancisce infatti che per l'orario di lavoro debba intendersi: “qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni”.
L' art. 1 co 2 lett. B definisce altresì come “riposo”: “qualsiasi periodo che non rientra nell’ orario di lavoro” .
L'orario normale di lavoro viene disciplinato dall' Art.3, che ne fissa la durata in 40 ore settimanali.
Peraltro viene ammessa la possibilità che i contratti collettivi di lavoro possano stabilire, ai fini contrattuali, una durata di orario normale di entità inferiore, riferendo anche l'orario normale alla durata media delle prestazioni lavorative in un periodo pari o inferiore ad un anno.
Come si legge nel testo infatti: “Art.3 - Orario normale di lavoro 1. L'orario normale di lavoro è fissato in 40 ore settimanali. 2. I contratti collettivi di lavoro possono stabilire, ai fini contrattuali, una durata minore e riferire l'orario normale alla durata media delle prestazioni lavorative in un periodo non superiore all'anno”.
L'art. 4 disciplina inoltre la durata massima dell'orario lavorativo:
“Art.4 - Durata massima dell'orario di lavoro 1. I contratti collettivi di lavoro stabiliscono la durata massima settimanale dell'orario di lavoro. 2. La durata media dell'orario di lavoro non può in ogni caso superare, per ogni periodo di sette giorni, le 48 ore, comprese le ore di lavoro straordinario. 3. Ai fini della disposizione di cui al comma 2, la durata media dell'orario di lavoro deve essere calcolata con riferimento a un periodo non superiore a quattro mesi. 4. I contratti collettivi di lavoro possono in ogni caso elevare il limite di cui al comma 3 fino a sei mesi ovvero fino a 12 mesi a fronte di ragioni obiettive, tecniche o inerenti all'organizzazione del lavoro, specificate negli stessi contratti collettivi. (…)”.
La durata massima settimanale dell'orario di lavoro, sulla base dei contratti collettivi di lavoro non può dunque in ogni caso superare, per ogni periodo di sette giorni, le 48 ore, comprese le ore di lavoro straordinario.
Ai fini del calcolo della “durata media” dell'orario di lavoro, come si vede, viene stabilito che essa deve essere calcolata sulla base di un periodo non superiore a quattro mesi, anche se i contratti collettivi possono a fronte di ragioni obiettive il cui tenore è specificato all'interno degli stessi contratti collettivi, elevare il limite dei quattro mesi fino a sei mesi ovvero fino a 12 mesi.
Come emerge dall'analisi della normativa, la disciplina presenta un assetto “multiperiodale”, che risponde alle esigenze di flessibilità dell’impresa, ponendo tuttavia un problema obiettivo in ordine alla possibilità di configurare una “flessibilità” che possa essere considerata favorevole anche per il lavoratore.
Viene infatti rilevato come la disciplina attuale dell’organizzazione dell’orario di lavoro tenga in conto in misura pressoché esclusiva le esigenze dei datori di lavoro e della produzione: in essa, si evidenza, non sono ad esempi contenute disposizioni relative all’incentivo della conciliazione dei tempi.
L' assetto multiperiodale prevede che le 40/48 ore settimanali stabilite dalla legge possano essere superate con prestazioni che non sono straordinario, laddove vengano previste compensazioni con periodi di lavoro di durata inferiore.
La straordinarietà dell’orario di lavoro effettivamente svolto dal lavoratore, viene quindi calcolata soltanto alla fine del periodo di compensazione regolato dai contratti collettivi.
In questo modo, è stato di fatto superato il limite storico della giornata lavorativa introdotto nel 1923, e il nuovo limite viene dedotto sulle parallele norme che regolano il riposo giornaliero: esse, a norma dell'art. 7, prescrivono il diritto a 11 ore di riposo consecutive ogni 24, portando dunque la durata massima della giornata lavorativa a 13 ore.
E' altresì possibile derogare alle 11 ore di riposo in sede di contrattazione collettiva, fermo restando il diritto ad una pausa di almeno 10 minuti ogni 6 ore, in relazione peraltro, secondo l'art. 8, alle “esigenze tecniche” della produzione.
2.2.Stati Uniti d'America.
La disciplina sull'orario di lavoro negli Stati Uniti prevede che, generalmente, i lavoratori siano “coperti” dalle norme federali che abbiamo analizzato alla fine del capitolo precedente, ma ciò può anche dipendere -in certi casi- dal tipo di impiego e di contratto posto in essere di volta in volta tra lavoratore e datore.
Inoltre, le norme federali possono essere oggetto di aggiornamenti e modifiche in ragione delle singole discipline adottate nei singoli sati dell'Unione.
Pressocché tutti i lavoratori nello stato della California devono essere pagati per gli straordinari una volta e mezzo l'ammontare della paga oraria regolare per tutte le ore lavorative che superino le 8 ore continutative al giorno, per le ore lavorative che superino le 40 settimanali, e per le ore lavorate nel settimo giorno consecutivo lavorato in una settimana.
Una paga giornaliera pari al doppio della paga regolare è prevista per le ore lavorate oltre le 12 in un giorno o per l'ottavo giorno di lavoro consecutivo lavorato in una settimana.
Con riguardo al Texas, va rilevato come né le leggi locali texane, né peraltro il Fair Labor Standards Act , contengono una restrizione alle ore giornaliere che un lavoratore adulto può lavorare continuativamente. Si tratta della cosiddetta “unlimited hours rule”, in base alla quale, un lavoratore può teoricamente essere richiesto di lavorare per settimane senza giorni di riposo.
Tuttavia, la Texas Workforce Commission, la locale agenzia che tutela i diritti dei lavoratori, ha sancito che i datori di lavoro siano tenuti ad usare un adeguato “common sense” e a rispettare le circostanze concrete (“practical realities” ) del posto di lavoro, oltre che le condizioni “morali” del lavoratore, laddove decidano di “prolungare” i i giorni di lavoro.
Se dunque non esistono restrizioni di carattere generale a quante ore al giorno un lavoratore può essere richiesto di lavorare in Texas, nondimeno le ore lavorate sono considerate come straordinario oltre un certo limite, analogamente a quanto osservato in California.
Il Texas aderisce infatti al Fair Labor Standards Act, e alla già più volte citata regola dell' “uno e mezzo”, che richiede come si è visto che i lavoratori siano pagati in misura pari ad una volta e mezzo l'ammontare regolare per ogni ora lavorata oltre le 40 settimanali.
Tuttavia, i lavoratori che ricevono un salario regolare non hanno diritto alla regola dell' “uno e mezzo” per le ore lavorate oltre questo limite. Peraltro, i datori di lavoro non possono limitare l'ammontare di questo “salario regolare” se il lavoratore ha lavorato meno delle 40 ore settimanali previste.
Le norme sugli straordinari sono regolate, per lo Stato di New York, dal Minimum Wage Orders. Si tratta di norme che aggiornano in parte la disciplina contenuta nella legge federale, compreso il FLSA.
La gran parte dei lavoratori dello Stato di New York sono tenuti a ricevere un pagamento orario superiore per le ore di straordinario secondo le regola dell' “uno e mezzo”, per tutte le ore che superano le 40 settimanali.
Alcuni lavoratori “residenziali” però devono ricevere una paga straordinaria pari all' “uno e mezzo” per le ore eccedenti le 44 settimanali.
Alcuni impieghi sono inoltre esentati dalle norme che regolano lo straordinario secondo l' FLSA, ma sono regolati dalle norme in materia contenuti nella New York State Labor Law. Questo prevede per alcune tipologie di impiego una retribuzione pari a una volta e mezzo il salario minimo sancito dallo Stato, indipendentemente dall'ammontare della retribuzione regolare.
In Florida, la maggior parte dei lavoratori è “coperta” dalle menzionate norme federali, anche se le norme statali possono modificare particolari situazioni, generalmente inserendo tutele ulteriori rispetto a quelle già stabilite a livello centrale. Laddove le norme federali e quelle locali siano in contrasto, si applica un “favor” per il lavoratore, ricorrendo alle norme che prevedono una maggiore tutela.
In Illinois, le leggi sul lavoro danno attuazione alle norme federali, e prevedono la regola dell' “uno e mezzo” per le ore che superano le 40 settimanali, a meno di specifiche eccezioni. Inoltre è previsto un giorno di riposo della durata di 24 ore ogni settimana del calendario, con alcune esenzioni specifiche.
Peraltro un datore di lavoro può ottenere un permesso per far lavorare volontariamente un lavoratore anche sette giorni in una settimana, e non è tenuto a fornire una giustificazione in casi del genere per le prime 8 settimane di sette giorni lavorativi.
La legge sul lavoro dello stato della Pennsylvania, applica la regola dell' “uno e mezzo” prevista dalle norme federali per le ore di lavoro che eccedono le quaranta settimanali. Analoga situazione si riscontra in Ohio, e, con alcune eccezioni specifiche, in Michigan.
In Georgia, analogamente a quanto riscontrato in diversi altri contesti locali degli USA, non esistono leggi che precisano un ammontare massimo di ore di lavoro settimanali, e qui trova generalmente applicazione la citata norma federale sull'adozione di una paga pari all'uno e mezzo per le ore lavorative che eccedono le 40 settimanali, con l'eccezione di impiegati presso particolari commissioni pubbliche, amministrativi, ufficiali di polizia, vigili del fuoco, assistenti sanitari e baby sitters, lavoratori dell'industria cinematografica e altre categorie.
Non esistono leggi specifiche, in Georgia come del resto a livello federale, che impongono il rispetto di una pausa pranzo retribuita e i lavoratori sottoposti al FLSA sono tenuti in taluni casi a fornire per essa prestazioni compensative.
Altri paesi.
In Cina la legge sul lavoro stabilisce che l'orario lavorativo sia fissato in 40 ore settimanali, in una settimana lavorativa -per la verità del tutto teorica- che comincia il lunedì e finisce il venerdì, dalle 9 alle 18.
In realtà, gli straordinari trovano amplissima applicazione nella maggior parte delle aziende cinesi, e in moltissimi casi essi non vengono neppure retribuiti.
Sono tre i periodi di ferie previsti in Cina a beneficio di tutti i lavoratori, in corrispondenza di altrettante feste nazionali, ciascuno della durata di una settimana: il capodanno cinese -generalmente tra gennaio e febbraio; la Festa del lavoro – all'inizio di maggio- e la Festa nazionale in ottobre.
Le ferie teoriche sono di una settimana l'anno ma spesso esse si riducono ad appena tre giorni, in quanto il governo vincola i lavoratori dipendenti a lavorare anche nel week-end precedente le ferie per compensare i giorni delle vacanze festive.
In Giappone, generalmente, oltre a numerose festività nazionali, ogni azienda usa fissare chiusure aziendali con cadenza annua, oltre alle ferie cumulabili di 26 giorni all'anno. La giornata lavorativa normale dura in Giappone almeno 7,45 ore con un'ora garantita di pausa. Gli straordinari sono permessi non oltre le 60 ore mensili, e il fine settimana è generalmente festivo.
In Germania, la legge sugli orari di lavoro stabilisce che la giornata lavorativa non ecceda le 8 al giorno e le 40 ore settimanali, ma vi è grande autonomia rispetto ai diversi settori e le parti sociali negoziano di volta in volta regimi diversi. Ad esempio, un impiegato nel settore metallurgico, gode delle 35 ore settimanali, sulla scorta delle vittorie conseguite dai sindacati della IG Metall, molto organizzati e dotati di grande forza contrattuale, anche se questo regime non trova applicazione nella vecchia Germania dell’Est, e si oggetto di aspri dibattiti anche all’Ovest.
Esiste in generale anche una certa variabilità della disciplina rispetto ai diversi Lander: nel settore del commercio al dettaglio, per esempio, nella regione di Amburgo la settimana lavorativa è fissata alle 37,5 ore .
Nell'ambito del pubblico impiego, la settimana lavorativa varia tra le 39 e le 41 ore, 40 negli ospedali comunali, in un panorama complessivo in cui la durata media concordata si attesta generalmente sulle 37,7 ore settimanali.
Peraltro, in Germania come anche in Francia, le ore concordate “ufficiali” raramente corrispondono alla realtà effettiva dei lavoratori, e di fatto le ore straordinarie innalzano anche di molto il monte ore complessivo lavorato dai lavoratori tedeschi, al pari di quelli francesi.
In Francia infatti, vige generalmente il principio delle 35 ore settimanali, sulla base della controversa legge proposta dal Governo socialista nel 2000, in seguito ampiamente modificata dalla maggioranza di centro-destra.
Ad oggi, in Francia, la legge delle 35 ore si estende a tutti i lavoratori ad eccezione di alcune categorie come i commercianti, gli esecutivi, alcuni manager, i domestici ed altre, per le quali vale un regime particolare.
Le 35 ore non rappresentano del resto un massimo legale, ma la base per il conteggio delle ore di straordinario, in modo non diverso da quanto accade, come abbiamo visto, per le 40 ore in molti Stati degli Usa.
Diverse compagnie hanno inoltre introdotto un sistema di ore part time, mentre in alcuni settori sono stati sottoscritti accordi a carattere collettivo. Il pagamento degli straordinari, che varia a seconda delle diverse contrattazioni collettive, deve comprendere per legge almeno un extra del 10% del pagamento orario regolare.
In mancanza di accordi specifici inoltre, gli straordinari vengono pagati con una maggiorazione del 25% per le prime 8 ore e poi con 50% . Meno, come si vede, di quanto avviene negli Stati Uniti, dove però le ore di straordinario “scattano” dopo 40 ore settimanali.
La settimana lavorativa francese va da lunedì a venerdì, generalmente dalle 8.30-9.30 alle 17.30-19.00, con una pausa pranzo .
L’introduzione delle 35 ha infine introdotto una certa flessibilità nell'organizzazione interna delle compagnie, alcune delle quali prevedono una settimana di 8 ore al giorno, con il venerdì pomeriggio libero, altre un orario “corto” dalle 10:00 alle 16:00.
Per quanto riguarda la situazione nel Regno Unito, va detto che in media, a 22 anni il salario orario previsto dalla legge è di £5.35 (€5.90), vale a dire circa £214 (€316) settimanali, con un orario di lavoro che si attesta sulle 37- 40 ore settimanali e 4 settimane di ferie pagate annue.
Nel Regno Unito, non si può ufficialmente lavorare oltre 48 ore la settimana, secondo le norme della cosiddetta “working time directive”, ma sono possibili delle eccezioni.
Ad esempio, si può superare il limite delle 48 ore settimanali:
se il lavoro, per le sue caratteristiche specifiche, richiede un'applicazione continutativa per 24 ore;
nell'ambito delle forze armate o della polizia;
nell'ambito della sicurezza o della sorveglianza;
nell'ambito dei servizi domestici;
nel caso dei naviganti, pescatori, lavoratori sulle navi in mare o nei corsi d'acqua;
dove non esiste una misurazione delle ore di lavoro, per le spefiche caratteristiche dell'impiego.
In Brasile, secondo la Costituzione federale, le ore di lavoro non possono eccedere le 44 settiminali, e preferibilmente, le 8 giornaliere.
In coerenza con questo principio, un lavoratore dovrebbe lavroare di Sabato 4 ore, cosicchè in molte aziende i lavoratori lavorano ogni giorno 48 minuti in più per avere il sabato libero.
A seconda delle diverse categorie d'impiego, esistono accordi diversi tra datori di lavoro e parti sociali, e alcuni lavoratori arrivano a lavorare più di 8 ore al giorno, come nel caso delle infermiere, dei lavoratori della sicurezza e altri impieghi considerati “socialmente sensibili”.
Nonostante le norme sul lavoro prevedano un limite di 44 ore settimanali e un limite di 2 ore al giorno per gli straordinari, è frequente in Brasile che vi siano lavoratori che arrivano a lavorare 10, 12, 14 o anche 16 ore al giorno.
I controlli non sono peraltro molto efficaci, e non sono infrequenti i casi in cui i lavoratori accettino queste condizioni per essere assunti, e decidano di citare in giudizio l'azienda quando lasciano il lavoro.
Come emerge dal quadro che si è delineato, la materia dell'orario di lavoro appare caratterizzata in molti contesti da una certa disparità tra previsioni normative e condizioni effettive della prassi lavorativa.
Di fatto, alle previsioni di legge in materia di orario di lavoro, fa riscontro infatti una tendenza più o meno generale ad una gestione delle ore di straordinario coerente più che altro con le esigenze della produzione, in un quadro che presenta il caso-limite della Cina, nella quale le ore di straordinario non sono spesso neanche regolarmente retribuite.
Una delle differenze di maggior peso tra il sistema americano e quello europeo risiede a questo proposito, precisamente nel fatto che il primo non prevede, in moltissimi casi, un limite alle ore di lavoro straordinario che possono teoricamente essere prestate da un lavoratore dipendente, come si è osservato ad esempio in Texas e in Georgia, -nè esistono in questo senso norme di carattere federali.
Le parti sociali locali hanno in genere ottenuto che si faccia appello in questi casi ad un principio di “senso comune”.
Inoltre esistono contesti nei quali ormai la prassi presenta un andamento molto frastagliato a seconda delle realtà aziendali, e sulla base della progressiva corrosione dei meccanismi di contrattazione collettiva, a cui sono andati sostituendosi dinamiche e relazioni più “individualiste”, spesso circoscritte ad ambiti lavorativi specifici.
Il caso della Germania appare in questo senso abbastanza eloquente, come caso di frantumazione tendenziale delle norme, in ragione di differenze a carattere territoriale -in primo luogo la storica frattura tra Est e Ovest- , disparità normativa a seconda del singolo Lander di appartenenza, e una certa varietà trai regimi adottati nei diversi contesti lavorativi e professionali.