CAPITOLO PRIMO IL DIRITTO ROMANO NELLA CIVILISTICA EUROPEA

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CAPITOLO PRIMO IL DIRITTO ROMANO NELLA CIVILISTICA EUROPEA


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IL DIRITTO ROMANO NELLA CIVILISTICA EUROPEA
1.1. Codificazioni di diritto civile e diritto romano. Considerazioni di carattere storico.
1.2. Le fonti del diritto privato e il ruolo della codificazione civile
1.3. Il diritto romano nel codice civile dei paesi di civil law.






1.1. Codificazioni di diritto civile e diritto romano. Considerazioni di carattere storico.



Il sistema del diritto romano, razionalizzato e codificato principalmente in Occidente nel corso del Medio Evo, ha continuato, nel tempo storico della modernità, ad accrescersi e ad arricchirsi nel corso della cosiddetta “età della codificazione”. Sarebbe infatti incongruo dal punto di vista storiografico e teorico-giuridico riferirsi alla grande esperienza della codificazione europea come ad un momento di rottura nei confronti del sistema del diritto romano, come frutto della volontà degli stati di monopolizzare per sé la produzione del diritto del quale si arrogano integralmente l'applicazione1. Un punto di vista particolarmente ricco per osservare e comprendere nella sua complessità il sistema giudico della “modernità”, e dei codici al loro interno, risiede nel rinvio ai principi generali del diritto. Il conio del concetto tecnico di “principi generali del diritto” non attiene, naturalmente, al patrimonio teorico dei giuristi romani, ma esso rappresenta tuttavia un ponte, insieme con altri, che si sviluppa nel corso della tradizione esegetica dello scorso millennio e che trova proprio nei codici una sanzione e una centralità di grande rilievo. Nell'antichità il riferimento all'espressione “principia iuris” si rinviene nell'opera di Cicerone (in due diversi passi del De legibus). I “principia” devono essere ricercati nella legge, non però nelle leggi che vengono di volta in volta sottoposte alla votazione dei comizi, sebbene nella cosiddetta “ratio summa, insita in natura”, della quale partecipa l'uomo con la sua “recta ratio”2. I principi costituiscono insomma un termine di confronto con il quale valutare la stessa produzione legislativa dei comizi, e di una simile teorica Cicerone stesso si avvalse in un 'ora di grave convulsione della repubblica, con l'obiettivo di offrire una rilettura complessiva del diritto di Roma, che si alimenta proprio della forza di quei principi. In seguito, nei testi dei giuristi romani, non si rinviene l'uso del termine “principium” nell'accezione ciceroniana di “principia iuris”3. Un uso importante dell'espressione si rinviene in Gaio ed è poi ripreso dai giuristi successivi in età giustinianea, con riferimento all'importanza fondante del “principium” per tutte le cose esistenti -una accezione filosofico-metafisica di matrice platonico-aristotelica dunque- e in quanto tale necessaria anche nella scienza giuridica. Il riferimento alla nozione di “principium iuris” e a ciò che tale concettualizzazione contiene si rinviene quindi nella elaborazione che del Corpus Iuris ha offerto la scuola bolognese. In essa si sviluppa quella ricerca di un motivo di “coerenza unitaria” del diritto che porta alla concettualizzazione di esso in termini di “sistema”, termine che avrà una sua ricca fortuna nella cultura giuridica medievale. I due termini, principio e sistema, conoscono dunque una evoluzione consentanea e un intreccio semantico ricco di implicazioni4. E' per noi di estrema importanza rilevare come nei codici moderni emerga una forte linea interpretativa -e testuale- ai “principi generali del diritto” in primo luogo per integrare le lacune dei codici stessi e della restante legislazione ma anche con l'obiettivo di orientarne la comprensione complessiva, con la valenza ulteriore di manifestare la concezione che il legislatore ha del collocarsi dei codici all'interno di un sistema. Nel codice civile francese del 1804 non si rinviene una menzione esplicita ai “principi generali” del diritto, in un quadro in cui soprattutto il rinvio al patrimonio dei giureconsulti romani il giurista rinvinen delle guide sicure per il suo lavoro sia di interprete che di giudice. Il codice è in sostanza immerso al interno del sistema del diritto romano comune. Nel codice prussiano del 1794 si rinviene un richiamo, al paragrafo 49 ai principi “accolti nel codice” che funzionano come “chiusura” dell'intero ordinamento. Nel codice asburgico del 1811 al paragrafo 7 si trova invece un rinvio ai “principi del diritto naturale”. Con riferimento al contesto italiano, nel Codice Civile per gli Stati Sardi del 1838 si introduce all'articolo 15 il riferimento ai “principi generali del diritto” che la dottrina unanime identifica con le “leggi romane”. Da questa indicazione dottrinale il giurista, in coerenza con il legislatore, è rinviato all'intero patrimonio del sistema del diritto romano filtrato nei suoi principi a partire dall'opera di Giustiniano e dei suoi giuristi. E' in particolare da questi riferimenti che appare evidente come il codice, nell'esperienza della modernità giuridica, si trova immerso e comunicante entro un sistema che mantiene al suo interno, in una posizione centrale, la tradizione romanistica.

Il riferimento ai “principi generali” che viene accolto in molti Codici Civili europei e non solo, viene trasfuso all'interno dello Statuto della Corte Internazionale di Giustizia, all'interno del quale, in un quadro di rinnovata “iuris dictio universalis”, esso svolge il ruolo di rinnovamento moderno del riferimento al diritto romano degli antichi testi legislativi5.

Va inoltre tenuto presente come il progetto di costruzione dello Stato moderno territoriale e assolutistico tra Sette e Ottocento, che ha però radici ben più risalenti, si coniughi con il nazionalismo politico e giuridico, e produca quella dottrina statual-legalistica che diviene egemone in larga parte della cultura giuridica europea, soprattutto nell'Europa centro-occidentale, a partire dalla metà del XIX secolo. Nell'Europa occidentale, una parte consistente della scienza giuridica aderisce a questa concezione, preoccupata di produrre l'uniformità giuridica all'interno degli stati nazionali e il rispetto dell'unità giuridica da parte degli stati stessi. Questa linea volta alla “nazionalizzazione” del diritto attinge un apice concettuale nella metamorfosi dei “principi generali del diritto” nei “principi generali dell'ordinamento giuridico dello Stato” che si rinviene in questi termini ad esempio nel codice civile italiano del 19426. Ciò che qui si realizza è una sorta di “chiusura” dell'ordinamento su sé stesso, e del quale il diritto romano non fa più parte come sistema entro il quale lo stesso codice si colloca. Il diritto romano diviene a questo punto semplicemente un “materiale” concettuale e istituzionale entro il quadro di un ordinamento diverso. In questo senso, si deve rilevare come il giurista del sistema romano abbia pagato un importante tributo nei confronti dello statual-legalismo ottocentesco, in quanto quest'ultimo tende a privare quel sistema del ruolo che ancora nella piena età della codificazione esso si vedeva riconosciuto. Lo statual-legalismo tende infatti a produrre interpretazioni “nazionali” dei principi invece che suscitare tramite il riferimento ad essi, interpretazioni armonizzate entro il sistema. Viene perduta la capacità di riconoscere l'esistenza stessa di uno “ius gentium”, e solo viene affermata la potestà generale del diritto interstatuale. D'altronde, questa tendenza che fondamentalmente relativizza il ruolo del giurista, irrigidisce il ruolo dei codici e l'intero ordinamento legale nel suo complesso, accentuando la necessità di una produzione incessante di leggi fino alla loro inflazione7.

Peraltro, le resistenze del sistema hanno determinato che lo statual-legalismo sia stato di fatto attuato in modo parzialmente contraddittorio, in modo che la scienza giuridica ha conservato in larga parte la sua caratteristica di scienza sovrannazionale, comunicante nel sistema e in grado di rendere i diversi sistemi locali vicendevolmente comunicanti. La scienza del diritto ha infatti in molti modi mantenuto la sua capacità di aggiornare il sistema, anche solo guidando le sentenze dei giusdicenti. In questa peculiare fase storica inoltre, caratterizzata dall'affermazione della globalizzazione, si rende urgente la necessità di sviluppare un sistema universalisticamente in grado di indicare comuni principi, i quali rappresentano per il lavoro del giurista il fondamento e l'esito contemporaneamente. Il riconoscimento dell'esistenza del sistema e dei correlativi principi generali non solo rende pertinente, ma anche del tutto necessaria l'individuazione di un metodo di interpretazione pienamente sistematico, commisurato alla completa dimensione e struttura del sistema di cui i codici moderni e le leggi sono parte, senza restringerelo o limitarlo all'interno dei singoli ordinamenti delle diverse repubbliche che in larga parte lo producono8. Il diritto romano comune continua in altri termini a mantenere una importante attualità, e resta necessario il riferimento ai suoi principi9. I principi, inoltre, non rispondono ad una statistica o ad una misura della maggioranza di opinioni o di regole, ma secondo lo stesso principio sostanziale indicato da Giustiniano ai giuristi che realizzarono il suo codice, l'enucleazione di essi comporta la valutazione comparativa di tutti gli elementi esistenti, e la elaborazione della soluzione più coerente con il iustum et rectum intendimento del diritto10.

Anche nel quadro della ricodificazione contemporanea, in altri termini, il giurista del sistema giuridico romanistico si presenta su una linea di continuità con il sistema delle fonti elaborato nella formazione del sistema stesso e la sua opera non rappresenta una forma di “libera creazione” del diritto, quanto piuttosto una scientifica elaborazione mediante cui egli porta avanti, migliora e precisa i contenuti del diritto, sulla base del riferimento fondante ai contesti sociali e storici concreti, e alla collettività dei giuristi che vaglia nella discussione e nel confronto le proposte che vengono espresse dal patrimonio dei principi nella comune ricerca del bene collettivo11. Peraltro, solo in apparente contraddizione con quanto si è finora illustrato, il principio del primato della norma che caratterizza la storia dello statual-legalismo, rappresenta a sua volta un'importante eredità della scienza del diritto di tradizione romanistica. Come è infatti noto, nell'ordinamento del sistema cosiddetto di civil law, (corrispondente alla quasi totalità dell' Europa continentale), una posizione fondante tra le fonti del diritto ha quella legislativa, che si configura come fondamento positivo del sistema delle norme giuridiche. La genealogia dei fondamenti teorico-culturali degli ordinamenti di diritto civile, attraverso l'illuminismo giuridico francese realizzato nelle grandi codificazioni napoleoniche, affonda infatti le sue radici nella scienza giuridica latina. Al centro della fondazione teorica del nostro sistema si situa, proprio in forza di questa grandiosa tradizione ed elaborazione culturale, il ruolo di perno o di fondamento (Grund) riconosciuto alla norma legislativa. In tale orizzonte della giuridicità “continentale”, la funzione giusdicente assume dunque un ruolo specifico in rapporto al momento legislativo, laddove mandato precipuo del giudicante e di applicare le norme per risolvere le controversie sottoposte al suo giudizio. In particolare l’ordinamento italiano non solo attribuisce al momento legislativo il collocamento apicale nella gerarchia delle fonti produttive di diritto, ma disegna il campo di efficacia delle sentenze dei suoi magistrati mediante il principio di cui all’articolo 2909 del Codice civile in base al quale le sentenze “fanno stato” in via esclusiva fra le parti coinvolte nella lite, i loro eredi ed aventi causa12. Diverso è il contesto culturale e teorico dell'altra grande tradizione giuridica dell'Occidente, quella degli ordinamenti che ripetono la loro storia giuridica dai paesi anglosassoni cosiddetti di common law 13: qui al centro della produzione di diritto si situa al contrario che nella tradizione romanistica e con un ruolo preminente il momento giurisprudenziale; laddove alla norma legislativa, pur efficace e deputata alla regolamentazione di importanti materie, viene assegnata una funzione di contorno o complementarietà. L'ordinamento di common law, se riconnette alla legge il ruolo di fonte del diritto, non riconosce a questo ruolo alcun carattere preminente rispetto alle altre fonti, e si caratterizza anzi per la peculiarità per cui il diritto che discende dal pronunciamento giurisprudenziale assume legittimazione in via del tutto autonoma rispetto alle norme legislative. Proprio al contrario che negli ordinamenti di tradizione continentale anzi, il diritto che promana dalle corti giusdicenti si configura come diritto “comune”, avente validità generale (common law), laddove la norma che discende dagli organi legislativi, in primis i Parlamenti, trova posto nel sistema giuridico dell'ordinamento in qualità di norma secondaria o con carattere speciale.

Sarà altresì mandato del giusdicente chiamato ad applicare tale produzione legislativa nel deprimere una controversia prendere in considerazione il diritto emanato dal Parlamento, ma producendone un'interpretazione che resta se non del tutto vincolata senz'altro necessariamente inquadrata nella necessità di non determinare alterazioni nel contesto d'insieme del diritto generale. Deriva da ciò che come è noto, il giusdicente di diritto comune integra il ruolo di fonte di “produzione del diritto”, laddove è riconosciuto al giudice una “attitudine” creativa in primo luogo in caso di indeterminatezza della norma legislativa, ma in misura ancor maggiore in ragione del fatto che gli ordinamenti di marca anglosassone contemplano il principio fondante dello “stare decisis” o del “precedente vincolante”14. Si tratta di una dottrina, in quanto tale precisata sul piano teorico dai giuristi del XVII secolo, per la quale se pure non è fatto obbligo ai giudici di non discostare le loro decisioni da quanto stabilito dalla giurisprudenza nei casi similari, essi sono cionondimeno tenuti a produrre una specifica motivazione qualora producano un pronunciamento non in linea con quanto in precedenza stabilito dai giudici in casi analoghi. Se la tradizione culturale e teorica che sostiene i due tronchi della tradizione giuridica occidentale, quella dei sistemi di tradizione romanistica e quella di origine anglosassone, evidenziano caratteristiche di orientamento e di concezione del tutto divergenti, pure bisogna sottolineare che proprio questa disparità è andata soprattutto negli ultimi decenni progressivamente attenuandosi.

Si assiste cioè sostanzialmente ad un avvicinamento reciproco trai due sistemi, al livello di prassi concretamente seguita nei due diversi contesti. All'interno dei sistemi di common law infatti, si accentua la tendenza a produrre norme legislative con l'obiettivo di determinare una disciplina per quegli istituti o settori della vita sociale non in precedenza riguardati dai pronunciamenti giurisprudenziali, o per realizzare approfondimenti di disciplina in ordine a quelli già in precedenza regolati. E parallelamente, entro gli ordinamenti di diritto civile di tradizione continentale, dunque anche in Italia, si focalizza progressivamente l'importanza del precedente giurisprudenziale, che tende a ricoprire un valore crescente, mentre si tende contemporaneamente ad attribuire rilevanza sempre maggiore alle decisioni degli organi giudiziari15. E' altresì sempre meno infrequente che gli organi legislativi dei paesi con ordinamenti di tradizione romanistica, con l'obiettivo di regolamentare con carattere di generalità i rapporti che sovente ricadono all'interno di controversie, producano norme imperative di valenza generale recettive delle indicazioni prodotte in sede di interpretazione giurisprudenziale e consolidatesi nella materia16. Se nei sistemi affini al nostro resta operativo e fondante il principio della libertà del giudice di interpretare la legge in modo non vincolato dai precedenti, è uso pressoché generale che le motivazioni dei pronunciamenti dei giusdicenti, sia di merito che di legittimità, sia richiamato il “precedente orientamento” di altri giusdicenti nella materia in esame, al fine di addurre motivazioni in ordine ad una sentenza che da quell'orientamento si discosti, o al contrario per aderirvi17.

L'interpretazione del giudice viene dunque in considerazione con una mutata rilevanza rispetto alle linee che orientano la cultura giuridica contemporanea anche rispetto a pochi decenni fa, e ciò anche nei sistemi come il nostro che, espressivi della tradizione del diritto romano e napoleonico, si fondano sulla centralità del momento legislativo18.



1.2. Le fonti del diritto privato e il ruolo della codificazione civile

Come è ampiamente noto, il Codice napoleonico (il Code per antonomasia) è all'origine di un influsso immediato e profondo sulla legislazione della maggior parte degli Stati preunitari italiani. Esso stabilì le premesse della successiva integrazione dei sistemi civilistici di molti di essi entro il nuovo Codice del Regno d'Italia del 1865. La compilazione e la diffusione del Code – progressivamente esteso a tutti i territori dell'Impero francese – aveva in vista il definitivo superamento della tradizione giuridica dell'Antico Regime, con i suoi caratteri propri di frammentarietà e stratificazione delle regole e delle fonti giuridiche, esito del diritto comune sviluppatosi in Europa a partire dal X secolo, e dentro cui un peso centrale conservava la consuetudine come fonte di produzione. Dotato di caratteri di assoluta innovatività, il Codice Napoleonico integrò il primo epocale passo in direzione di una sistematizzazione del diritto in senso moderno. Ad esso seguirono analoghe codificazioni in ambito della procedura civile, del diritto commerciale, e del diritto e della procedura penali19. La Francia era stata nei secoli culla della convivenza (tutt'altro che pacifica) tra due grandi sistemi giuridici di origine diversa: la Francia meridionale aveva visto l'affermazione del diritto scritto, erede del Codice di Giustiniano e della tradizione latina; nel nord, invece, dominava un sistema di diritto comune che riconosceva le consuetudini all'apice della gerarchia delle fonti di produzione, ed era espressione della tradizione franco-carolingia. Il processo di formazione dello Stato assoluto aveva progressivamente posto in luce l'urgenza di una unificazione e sistematizzazione del diritto20. La Costituzione del 1791 aveva sancito nella sue Disposizioni fondamentali: “sarà fatto un codice di leggi civili e comuni a tutto il regno”21. Il Codice Civile dei Francesi, ribattezzato dal 1807 come Codice Napoleone, ricevette formale promulgazione in Francia il 21 marzo 1804. Esso rappresentava l'esito dei lavori di una commissione ristretta appositamente nominata e dei contributi che seguirono ad opera dei Tribunali di Cassazione, dei Tribunali d’Appello e della Commissione di legislazione del Consiglio di Stato. La commissione cui era stata specificamente assegnata la stesura del testo si componeva dei seguenti membri: François Denis Tronchet e Jacques Maleville (il primo presidente, il secondo giudice della Corte di Cassazione), Félix Julien Jean Bigot de Préameneau (in precedenza parlamentare nel vecchio Parlamento di Parigi soppresso dalla Rivoluzione), Jean Etienne Marie Portalis (inv veste di commissario di Governo ). Le origini personali di ciascuno dei quattro membri della commissione, provenienti da aree geografiche diverse della Francia, realizzavano per così dire una rappresentanza equa delle due tradizioni giuridiche francesi22. Presiedeva la commissione Jean-Jacques Régis de Cambacérès, secondo Console della Repubblica, sovente sostituito durante i lavori dallo stesso Napoleone. Ad orientare la politica napoleonica in ambito giuridico fu la persuasione che fosse necessario attribuire una struttura e una forma durevoli alla legislazione civile, assunta nella sua autonomia rispetto al terreno del diritto pubblico, e colta nel suo decisivo valore di garanzia della pace sociale, in quanto destinata a dare regolamentazione ai rapporti intersoggettivi. A questo scopo, appariva necessario un recupero in un certo senso “critico” dell'imponente sedimento della tradizione giuridica francese, nel senso che esso doveva essere assunto non come un materiale dotato per così dire di vita autonoma, ma piuttosto come base per una sistemazione organica, rinnovata e razionale delle norme delle relazioni giuridiche tra privati.

Accanto a ciò, il Codice realizzò la sistematizzazione e la formalizzazione delle conquiste più decisive della Rivoluzione23. Entrarono definitivamente nella cultura giuridica occidentale la collocazione dell'individuo e dei sui diritti soggettivi al centro del sistema normativo; la fondazione laica di quest'ultimo; l'affermazione del principio di eguaglianza davanti alla legge di tutti i consociati; l'eversione dei residui feudali legati alla disciplina della primogenitura e del fidecommesso; lo scrostamento dei privilegi medievali nella disciplina della proprietà privata; il riconoscimento del ruolo della famiglia alla base delle formazioni sociali, e contemporaneamente l'introduzione del divorzio; l'affermazione del principio di autonomia negoziale tra le parti. Veniva infine organizzato l'ordinamento sulla base dei principi di unità e organicità delle fonti di produzione che metteva fine al pluralismo giuridico caratteristico dell'Antico Regime24. Il Codice colleziona le 36 leggi approvate tra 1803 e 1804, componendosi di 2281 articoli25. Il primo libro è dedicato alle persone: esso contiene la disciplina dei diritti civili, degli atti dello stato civile, compresi matrimonio e divorzio, la regolamentazione della potestà genitoriale e della tutela dei minori. La maggior parte dell’articolato del primo libro regola dunque la materia familiare e, pur configurandosi in senso decisamente conservatore rispetto alle affermazioni più audaci della Rivoluzione in questa materia, rappresentò nondimeno una cesura significativa con l'Antico Regime: ai figli veniva riconosciuta pari dignità indipendentemente dal sesso; alcuni diritti erano riconosciuti anche ai figli naturali qualche diritto e veniva assai limitato il principio dell' l'autorità maschile. Il secondo e il terzo libro, rubricati Dei beni e delle differenti modificazioni della proprietà e Dei differenti modi coi quali si acquista la proprietà, regolamentano il primo il regime patrimoniale (con l'eversione del sistema feudale) e il secondo alle relazioni tra privati (diritto patrimoniale familiare, contratti e obbligazioni)26. Nell'ambito della Monarchia Asburgica l'avvio dell'opera di codificazione viene generalmente individuato nella promulgazione del Codex Austriacus alla fine del XVIII secolo. Esso rapprestò una compilazione del diritto del regno austriaco che realizzò una vasta opera di “raggruppamento” delle fonti del diritto vigente, senza però proporsi programmaticamente, come nella contemporanea esperienza francese, di determinare in tal modo una “chiusura” dell'ordinamento. Ampio spazio veniva dunque lasciato alle fonti di diritto comune. In seguito, un successivo sviluppo nel senso della codificazione del diritto è rappresentato dal celebre Codex Theresianus iuris civilis, compilato durante l'Impero di Maria Teresa, ma del quale l' estensione e vastità del testo fecero ritenere inopportuna la promulgazione in via ufficiale e definitiva. Fu dunque il figlio della grande sovrana, Giuseppe II, a riprendere l'iniziativa. Si giunse così nel 1787 alla promulgazione di quello che sarebbe passato alla storia come Codice Civile Giuseppino. Tale testo entrò in vigore limitatamente alla sola Galizia, e regolò esclusivamente il diritto delle persone e di famiglia, oltre a contenere alcune importanti affermazioni di principio. Si trattò in sostanza di un'operazione ancora dal carattere ancora fortemente limitato e parziale. Il vero e proprio codice civile austriaco risale invece al 181127. Esso rappresenta l'opera di giuristi del calibro di Carlo Antonio Martini e Franz von Zeiller, e contiene per la prima volta un'affermazione del divieto di etero-integrazione analoga a quella rinvenibile nel contemporaneo codice francese. Il nuovo codice si proponeva in sostanza non soltanto di raggruppare ordinatamente il diritto comune , ma anche e soprattutto di subentrare al diritto previgente mediante l' esplicita clausola abrogatoria delle fonti del diritto antico28. La struttura formale del codice austriaco ha un aspetto più stringato dell'analogo testo francese: laddove questo si presenta articolato, secondo una concezione di carattere imperativista-statualista- in una serie di norme con carattere di comando, il codice asburgico, esprime invece un modello articolato in norme-principio. Esso si compone dunque di tre libri composti di1502 paragrafi, e non dunque articoli29. Il testo asburgico presenta inoltre un'articolazione classica di carattere sistematico sul modello di Gaio, con una correzione kantiana di stampo illuministico, rappresentata dalla partizione trai diritti della persona e i diritti sulle cose, reali e con carattere di obbligazione. Il terzo libro del codice austriaco attiene infine alle disposizioni in materia di costituzione, modificazione ed estinzione dei rapporti giuridici. Esso contiene così un numero di disposizioni di carattere preliminare, in gran parte riversate nei codici successivi. E' possibile rinvenire in questi testi alcuni importanti accenni al tema dell'interpretazione. Si leggono infatti nel codice austriaco alcuni riferimenti di grande significato al ruolo che può svolgere la “ragione” nel colmare le lacune normative, e un abbozzo di una teorizzazione dei nessi logici nel campo dell'interpretazione delle norme. Il codice austriaco contiene inoltre espressamente un indicazione del ruolo dell'analogia e della sua possibilità di ricostruire il “senso” naturale della norma di legge30. Secondo alcune letture, è presente qui un'apertura interpretativa del testo in direzione del recupero del diritto previgente che il codice stesso prometteva di superare: di fatto, che il codice asburgico non rappresenti in termini radicali un 'operazione di rottura radicale nei confronti del passato è deducibile anche dalla conservazione o l'introduzione di un certo numero di istituti risalenti agli antichi diritti e alla tradizione giuridica del passato: va a questo proposito menzionato il fedecommesso, l'antica prassi successoria di origine feudale assai lontana dal principio liberale della autonomia privata in materia successoria ispirata alle idee di marca illuminista di libertà ed equità. Come è noto, il codice, adottato inizialmente nel cuore dell'Impero, fu in seguito esteso al regno italiano del Lombardo-Veneto, dove resto in vigore fino alle annessioni al Piemonte prima della Lombardia, nel 1859 e quindi del veneto nel 186631.

Con particolare riguardo al tema dell'interpretazione delle norme e a quello connesso della gerarchia delle fonti, va rilevato come tra le fonti dottrinali da tenere presente in sede esegetica Franz von Zeiller nel Commentario al codice civile universale austriaco, vengono citati il De l'esprit des lois di Montesquieu; e nell'ambito del diritto positivo il citato Codice giuseppino del 1787, i diritti locali del Landrecht, ed espressamente il Titolo preliminare del Code Napoleonico del quale ci siamo in precedenza occupati; tra le fonti interpretative la codificazione asburgica fa esplicito richiamo alla legge di emanazione sovrana e ai principi generali dell'Ordinamento, sostanzialmente corrispondenti alla filosofia del diritto. Bisogna notare come si vede l'importanza accordata nel testo austriaco all'esperienza e alla scienza giuridica francese contemporanee: a rimarcare le numerose convergenze sostanziali trai due modelli, nonostante essi assumano di fatto nella storia della codificazione due posizioni opposte: quella di sistema “chiuso” connotato da una forte concezione legalista il modello francese; quella di sistema “aperto” a una pluralità di fonti, tra cui anche il diritto naturale, il modello austriaco32. Va peraltro rilevato come non sia possibile per nessuno dei due casi rinvenire in modo inequivocabile un modello “puro” soprattutto con riguardo alla concreta prassi giudiziale.

Di fatto, come è noto, il Code francese e il codice generale austriaco, sono generalmente posti in collegamento sulla base delle profonde disparità che li caratterizzano vicendevolmente33. Il sistema francese deriva infatti da una lunga elaborazione filosofica e culturale fortemente connotata dalla sua origine nel pensiero illuminista, ed esprime la cultura del positivismo giuridico che avrebbe rappresentato l'orientamento della scuola dell'esegesi nella Francia del XIX secolo. Il codice austriaco del 1811 va invece sostanzialmente letto in rapporto al complesso processo giuridico -istituzionale di riordino legislativo che percorre tutto il XVIII secolo, legato alla storia dell'assolutismo asburgico e più strettamente connesso agli esiti della riflessione teorica di area tedesca. Qui, entro una tradizione che partiva dall'istituzione della prima cattedra di diritto naturale affidata a Samuel Pufendorf presso l'Università di Heidelberg nel 1660, per l'appunto il diritto di natura si era affermato come fondamento della stessa opera di codificazione della legge positiva intrapresa dall'assolutismo illuminato di Maria Teresa e Giuseppe II34. Non a caso, quando l'insegnamento di diritto naturale fu attivato presso l'Università di Vienna, a ricoprire la cattedra fu uno dei protagonisti nella storia della codificazione in ambito asburgico, cioè il già citato Carl Anton Martini35.

E' per questo che, rispetto al suo omologo francese, il codice austriaco si connota come codice di norme di principio, perno di un ordinamento pensato come sistema di proposizioni che lascia amplissimo spazio al lavori interpretativo dell'ermeneuta36. Di contro, l'interprete del Code civile è programmaticamente un mero lettore delle norme positive, cui è affidato un semplice compito ricognitivo dei testi codificati.

Avendo particolare riguardo ai problemi relativi all’interpretazione, sia nel caso francese che in quello austriaco trattati nella prima parte dei rispettivi articolati, un elemento nel quale si può ravvisare un punto di convergenza trai due testi è rappresentato dal citato Libro Preliminare appartenente come si è detto al progetto preparatorio del codice francese. Quel testo in misura diversa condizionò infatti entrambe le culture giuridiche di cui ci occupiamo, anche se esso non fu mai incluso, come detto, in una normazione effettivamente promulgata.

In che senso esso può rappresentare un tratto d'unione tra la cultura che presiede alla codificazione francese e quella che ispirò l'analogo processo austriaco? A questo proposito è indicativa una pagina di Toullier, in cui il giurista riconosce come le regole in materia di esegesi delle norme giuridiche contenute in quel testo, ben più ampie e complesse rispetto alle poche contenute nel codice francese e di cui ci siamo già occupati, indichino come le fonti dell'interpretazione vadano rintracciate tra l'altro “dans les auteurs qui ont écrit sur le droit naturel, tels que Puffendorf, Thomasius, Heineccius, etc., et dans ceux qui ont écrit sur le titre du digeste de legibus”37. Nonostante l'ampiezza del dibattito successivo, i contenuti del Libro preliminare rimarranno costantemente presenti alla cultura giuridica francese come una sorta di “implicito normativo”, come è stato detto38, segnando un riferimento comune rispetto alla cultura giuridica di area asburgica, e che di fatto mantenne un margine effettivo di incisività anche all'interno della tradizione positivista francese39.



1.3. Il diritto romano nel codice civile dei paesi di civil law.

Come è ampiamente emerso fino a questo punto, il diritto romano è sopravvissuto negli ultimi due secoli quale indispensabile sostrato, culturale, filosofico, tecnico e scientifico del sistema del diritto moderno, di contro ad una molteplicità di “spinte” storiche che ne hanno in vari modi ridimensionato di volta in volta, il ruolo e il vigore all'interno degli ordinamenti nazionali. In primo luogo, agì come è noto in questo senso la spinta critica proveniente da parte dei riformatori illuministi, per i quali la “quantità di libri” dei controversisti di contro alla “scarsità delle leggi” rappresentava una insopportabile eredità del passato dentro la civiltà politica del presente, e tale di fatto da ledere la certezza del diritto. Fu questa, come è noto, la principale ragione culturale del passaggio dal diritto comune dei secoli dell'Età di Mezzo in direzione delle codificazioni40. Contemporaneamente agì in questa direzione, come è noto, la progressiva formazione degli Stati nazionali nell'alveo della nuova civiltà politica dell'occidente liberale. Nello Stato nazionale moderno, la realizzazione dello Stato di diritto si rifà al modello teorizzato da Montesquieu sulla base della distinzione dei tre poteri indipendenti, legislativo, esecutivo e giudiziario, e della sottomissione dello stesso sovrano assoluto che aveva dominato l' ancien régime dinanzi alla legge come nuovo luogo della sovranità, diretta emanazione della Nazione41. La legge, in questo senso, non poteva più essere identificata con il diritto romano comune, avvertito come sedimento tendenzialmente caotico dei particolarismi storici, cetuali, locali ed etnici42. Di contro all'istanza delle codificazioni modellate soprattutto sul Code Napoléon del 1804, la Germania, in particolare con l'opera di Savigny si rese paladina della difesa del diritto romano di contro alla tendenza all'uniformazione dei codici. Peraltro, come è noto, il diritto romano elaborato nel System des heutigen römischen Rechts, che rappresentava il prodotto della scienza giuridica moderna sulla base dei materiali della compilazione di Giustiniano, con il suo Pandektenrecht resistette in Germania fino all'entrata in vigore, il 1° gennaio del 1900, del Codice Civile dell’Impero tedesco, il BGB43. A partire da quel momento, il diritto romano è scomparso dalla scena legislativa dell'Europa moderna, di fatto mantenendo ampio spazio soltanto in ambito accademico. Sebbene gli studiosi di diritto comparato qualifichino come “romano-germanico” il sistema giuridico che si identifica nella civil law continentale, e come anglosassone il sistema di common law, si può tuttavia rilevare come una parte consistente dello spirito del diritto romano, è di fatto rintracciabile, per una quantità di ragioni, forse più nei sistemi di common law che in quelli di civil law. Quanto poi al corpus normativo contenuto nell'eredità giustinianea, esso appare di fatto dissolto nella fase della costruzioni dei codici, in un contesto, come abbiamo visto, in cui mantiene un valore centrale il carattere nazionale dei codici, in contrasto con il carattere transnazionale tipico dell'applicazione del ius commune. Lo Stato nazione ha infatti voluto consapevolmente segnare una netta fase di cesura rispetto alla lunga tradizione nella quale era stata esaltata la comune identità giuridica dei popoli dell'Europa occidentale nella quale tribunali, giuristi e principi applicavano il diritto romano ad integrazione e a sostegno dei diversi diritti particolari, ravvisandovi una manifestazione di una civiltà a carattere universale, per molti versi avvertita come “superiore” rispetto alla molteplicità delle tradizioni “locali”. L'età moderna delle grandi rivoluzioni, come abbiamo ampiamente messo in evidenza, ha visto produrre i codici moderni che in Europa hanno cancellato i residui del particolarismo medievale e in America Latina hanno segnato l'indipendenza e il rinnovo del rapporto con il sistema del diritto romano. Ma, come abbiamo già detto, rappresenta un errore storiografico affermare che i codici costituiscano una rottura, sic et simpliciter, rispetto al diritto comune. I codici rappresentano infatti solo in parte il materiale a cui quotidianamente ricorre l'operatore del diritto, e non esauriscono in tutto e per tutto la vigenza del diritto romano comune. I codici sono tratti da esso e in esso rimangono immersi, vuoi per l'integrazione delle loro lacune e per l'ispirazione dell'interpretazione attraverso il riferimento ai “principi generali del diritto” (abbiamo visto in questo senso quanto incisiva rimanga la disciplina dell'interpretazione anche entro la cultura giuridica francese), vuoi – ed è un punto difficile da sottovalutare- attraverso la comprensione della realtà in categorie giuridiche che , da parte della dottrina, viene elaborata sulla base della totalità del sistema44. Come si è visto, nella seconda metà dell'ottocento, in Europa si rende egemone una cultura nazionalista che penetra nella cultura giuridica e porta ala egemonia la dottrina del monopolio del diritto da parte dello Stato nazionale. Va detto peraltro che la dottrina che sostiene tale monopolio è risalente e pone le se radici nel Rinascimento, ma questa dottrina del monopolio dello Stato rimaneva una delle prospettive presenti nella scienza giuridica europea, e nelle controversie che la percorrono, e non diventa del tutto egemonica in Europa fino a quando essa non si congiunge negli ultimi decenni del XIX con gli obiettivi delle forze sociali e politiche da cui sono scaturiti i “nazionalismi”. Con l'egemonia della dottrina statual-positivista lo stato modeno, sovrano assoluto e nazionale, pretende di esercitare da solo o attraverso realtà da esso solo individuate e delegate, la produzione del diritto sia interno che internazionale, e mentre quindi da un lato isola e scioglie il proprio ordinamento da ogni limite giuridico derivante dai principi del sistema di diritto romano comune e dal diritto naturale incluso in questo, dall'altro nazionalizza i codici che erano stati prodotti nella logica del sistema del diritto romano comune, e se ne impadronisce facendo propri i contenuti del diritto romano, usandoli come contenuti del diritto proprio45. Questi ultimi sono dunque inseriti in una cornice, quella dello stato moderno, estranea, in quanto tale al diritto romano comune, che tende ad eliminare la dinamica ad esso connaturata46. Si assiste in sostanza ad una “nazionalizzazione” dei contenuti del diritto romano. I codici che erano stati prodotti come fattore di sviluppo del diritto comune nella cancellazione del particolarismo derivante dal medio evo, diventano quindi strumenti essenziali di quella chiusura degli stati nazionali e dei loro ordinamenti che caratterizza l'Europa tra XIX e XX secolo47. Si può notare che in Europa tale nazionalismo giuridico è oggi largamente in via di esaurimento sulla spinta di quelle istanze che prepotentemente inducono, come si è in parte messo in evidenza, all'individuazione di principi comuni degli ordinamenti nazionali e alla loro interazione e armonizzazione progressiva, in un orizzonte storico complessivo che viene ormai comunemente caratterizzato come “post-nazionale”48.

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